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Inflazione oltre le attese: che fare?

Negli USA l’inflazione è salita dell’8,3% su anno ad agosto, oltre le attese degli analisti, mentre nell’UE il dato ha raggiunto la doppia cifra.

Le banche centrali hanno ancora molto lavoro da fare per domare l’inflazione. È questa la sensazione che filtra dalla recente carrellata di dati sui prezzi al consumo da questa e dall’altra parte dell’Oceano.

Stati Uniti, prezzi oltre le attese

Partiamo dagli Stati Uniti, dove l’inflazione ha registrato un aumento dell’8,3% nel mese di agosto, in leggera contrazione rispetto al +8,5% di luglio, ma sopra le attese degli analisti, che speravano in un +8%.

I mercati hanno reagito male alla notizia, con Wall Street che ha messo a segno la peggiore seduta dell’anno finora e la peggiore dal giugno del 2020 dopo la diffusione del dato. L’S&P 500, il maggiore indice azionario USA, ha lasciato sul terreno il 4,32%, il Dow Jones è sceso del 3,94% e il Nasdaq, che misura soprattutto l’andamento delle società tecnologiche, ha segnato un -5,16%.

Fed verso un altro rialzo “corposo”

Così, la speranza che i prezzi avessero già raggiunto il picco, e che quindi la Federal Reserve potesse rallentare il ritmo del rialzo dei tassi, sono andate in fumo. “Il dato sull’inflazione ha certamente aumentato le probabilità che la banca centrale USA si diriga verso un tasso di interesse terminale ancora più elevato”, commentano gli esperti di ING Think.

Nel dettaglio, se prima c’era chi puntava su un aumento “ridotto” – cioè di soli 50 punti base – nella prossima riunione della Fed del 20 e 21 settembre, ora l’ipotesi è pressoché tramontata, dicono gli analisti di ING. “Il dato, tuttavia, non è nemmeno così terribile da giustificare un maxi-aumento da 100 punti base: attualmente il mercato prezza 80 punti, dai precedenti 72. Noi continuiamo a puntare su un ritocco di 75 punti base”.

La traiettoria dell’inflazione

Numeri a parte, “pensiamo che la Fed non sarà particolarmente esplicita sulle prossime mosse di politica monetaria. In ogni caso, le pressioni inflattive hanno spinto il mercato a spostare le aspettative sul tasso finale dal 3,75-4% al 4-4,25%. Noi continuiamo a puntare sul range 3,75-4%, con un aumento di 50 punti base a novembre e un ritocco finale di 25 punti base a dicembre”, spiegano gli analisti.

Che si aspettano comunque un rientro dell’inflazione entro la fine del prossimo anno. “Con il deterioramento del mercato immobiliare, prevediamo un calo dei prezzi delle case nei prossimi 6-12 mesi. Parallelamente, il miglioramento delle catene di approvvigionamento contribuirà al rallentamento dell’inflazione nei prossimi 12 mesi. Considerando anche l’atteso indebolimento dei prezzi delle commodity e l’impatto del dollaro forte, vediamo buone probabilità di un’inflazione al 2% entro la fine del 2023”.

Come siamo messi in Europa?

In Europa la situazione non è molto diversa. Secondo i dati diffusi da Eurostat, l’inflazione si è attestata il mese scorso al 9,1% nella zona euro, dal +8,9% di luglio (un anno fa i prezzi al consumo erano al 3%), mentre nell’Unione Europea il dato annuale si è posizionato al 10,1%, dal 9,8% di luglio.

A livello di singoli Paesi, in Italia il dato è in linea con quello europeo: +9,1% in agosto, in deciso aumento dall’8,4% di un mese prima. In Germania l’inflazione è salita ad agosto dell’8,8% su anno dall’8,5% di luglio, mentre in Spagna la crescita è stata ancora a doppia cifra: +10,5% dopo il +10,7% di luglio (le attese erano per un +10,4%).

Tutte cifre che lasciano poco margine di manovra anche alla Banca centrale europea, come del resto ha confermato di recente anche Philip Lane, membro del board esecutivo e capo economista dell’Eurotower.

“In base alle nostre attuali valutazioni, ci aspettiamo che la transizione verso livelli di tassi che assicurino il ritorno dell’inflazione al target del 2% richieda di continuare ad alzare i tassi d’interesse nelle prossime riunioni”.

E la prossima riunione della Banca Centrale Europea è fissata per il 27 ottobre.

Nubi di recessione all’orizzonte?

Con le banche centrali pronte a intervenire ancora con decisione sui tassi, i timori di recessione, sia per gli Stati Uniti che per l’Europa, iniziano a farsi pressanti. L’economia USA ha già messo a segno due trimestri di crescita negativa, quindi è già tecnicamente in recessione, anche se ci sono dati che suggeriscono il contrario, come il mercato del lavoro forte e gli utili aziendali che continuano a crescere.

Nel Vecchio Continente, intanto, con la BCE più indietro della Fed nel percorso di rialzo dei tassi e la crisi energetica che morde, lo scenario appare più cupo. “Ci aspettiamo che lo shock dei prezzi energetici dia inizio a una fase di recessione a partire dal terzo trimestre di quest’anno e che contribuisca a tenere l’inflazione elevata più a lungo”, osservano gli analisti di ING Think. “La BCE da parte sua potrebbe alzare ancora i tassi sia a settembre sia a ottobre, ma la contrazione dell’economia potrebbe spingerla a un temporaneo rallentamento della stretta monetaria”.

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