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Il conflitto non affonda i mercati: via al rialzo dei tassi

I mercati finanziari ritrovano la rotta nonostante il conflitto in Ucraina stia andando avanti. L’inflazione non rallenta e le banche centrali non restano a guardare

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Dopo un iniziale momento di panico innescato dall’invasione russa in Ucraina, i mercati azionari europei sembrano aver ritrovato la rotta, arrivando a concludere il mese di marzo all’incirca sugli stessi livelli di fine febbraio – e con un rimbalzo del 14% circa rispetto ai minimi del 7 marzo.

Intanto, a partire dal 24 marzo, ha gradualmente riaperto la Borsa di Mosca, sospesa dal 25 febbraio su decisione della banca centrale russa dopo un tonfo del 33% il giorno successivo allo scoppio della guerra. L’indice MOEX ha terminato la seduta di riapertura con un +4,37%, sostenuto da una serie di misure governative e dagli acquisti del fondo sovrano. A fine marzo, l’orario di contrattazione restava ancora ridotto a 4 ore, dalle 10:00 alle 14:00 ora locale.

Tutto risolto, dunque?

Non esattamente. Secondo diversi esperti, i mercati non riflettono adeguatamente la situazione attuale: il conflitto in Ucraina si sta prolungando con un grande costo in termini di vite umane e sembra abbastanza probabile che la crisi geopolitica non si risolva a breve. Il che, a livello europeo, avrà inevitabili ripercussioni su crescita e inflazione.

E anche se le ostilità cessassero a breve, le sanzioni economiche messe in campo contro la Russia potrebbero avere conseguenze difficili da prevedere, nel lungo periodo.

Intanto, le banche centrali stanno spingendo verso politiche monetarie più restrittive, con la Fed che ha già avviato il percorso di rialzo dei tassi di interesse.

La curva dei rendimenti

Negli Stati Uniti inizia a farsi sentire la paura per la curva dei rendimenti dei titoli del Tesoro che, lo scorso 29 marzo, è diventata negativa per la prima volta dal settembre del 2019: i rendimenti dei titoli di Stato biennali hanno superato quelli dei titoli decennali. L’inversione è stata minima, ma significativa: negli ultimi 60 anni le recessioni economiche sono state a vario titolo anticipate da un’inversione della curva dei tassi Usa.

Petrolio sull’ottovolante

Molto volatile, nel corso del mese, il prezzo del petrolio, con le quotazioni di Brent e WTI – già elevate a fine febbraio – che hanno registrato un’ulteriore fiammata, pur ritracciando leggermente negli ultimi giorni, attestandosi intorno ai 102 dollari al barile (WTI). Marzo si conclude comunque con la qualità texana in rialzo di circa il 7% rispetto a fine febbraio, con il conflitto che ha spinto in alto i prezzi, specialmente quelli delle materie prime energetiche.

Previsioni fosche

Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, la guerra costerà all’Ucraina il 10% del PIL quest’anno. E in caso di stallo, il crollo potrebbe arrivare al 35%. Negativo anche il giudizio di S&P sul credito UE per il 2022: atteso “un inasprimento delle condizioni di finanziamento e un tasso di default in rialzo verso il 2,5% entro fine anno”.

Banche centrali alla riscossa

La Fed ha alzato i tassi d’interesse per la prima volta dal 2018, portandoli allo 0,25-0,50%, e stima altri sei rialzi nel 2022. Il presidente Jerome Powell si è detto inoltre pronto a procedere con rialzi dei tassi superiori a 25 punti base in una o più riunioni, se necessario. Sulla stessa linea la Bank of England, che ha deciso per un terzo aumento consecutivo dei tassi di interesse dello 0,25%.

E la Banca Centrale Europea?

La BCE non ha ancora toccato i tassi, ma ha sottolineato a più riprese che intende proseguire con il suo piano di restringimento monetario, pur precisando che il programma potrebbe essere rivisto qualora le condizioni lo richiedano. Nel suo bollettino economico, intanto, l’Eurotower ha rivisto al ribasso le proiezioni sulla crescita mondiale, stimata ora al 4,1% nel 2022 (dal 6,3%) e al 3,6% nel 2023 e nel 2024. L’Europa, in particolare, “sta entrando in una fase difficile. Nel breve termine, ci troveremo di fronte un’inflazione più elevata e una crescita più bassa”, ha affermato la presidente Christine Lagarde, in riferimento alle ricadute della guerra in Ucraina.

Focus su Cina e Giappone

La banca centrale cinese ha confermato i tassi sui prestiti a uno e a cinque anni. La Bank of Japan andrà avanti con il suo programma di stimolo malgrado l’aumento dell’inflazione, che potrebbe battere le attese per via dell’incremento dei costi delle imprese.

Inflazione, a che punto siamo

Negli Stati Uniti i prezzi al consumo hanno toccato un nuovo record a febbraio, con un rialzo del 7,9% su anno. Non succedeva da 40 anni. La corsa dei prezzi non si ferma nemmeno in Europa, con il dato di febbraio nella zona euro che si è attestato al 5,9%.

E il trend non sembra destinato a migliorare, almeno a giudicare dai Paesi che hanno già comunicato i numeri di marzo. In Spagna l’inflazione armonizzata, nella lettura preliminare di marzo, ha registrato un +9,8% su base annua, mentre in Germania la crescita dei prezzi al consumo ha raggiunto il +7,3% annuo. A marzo in Italia l’inflazione ha riportato un +6,7%: mai così alta dal 1991.

Il nodo dell’energia

Il Vecchio Continente, ormai lo sappiamo, è particolarmente dipendente dal gas e dal petrolio russo. Ed è questo il motivo per cui, finora, le sanzioni contro Mosca non hanno toccato il settore energetico. La Russia ha chiesto i pagamenti in rubli e vedremo come andrà. Intanto, Stati Uniti e UE hanno stretto un accordo per ridurre la dipendenza europea dalla Russia: gli USA garantiranno ulteriori 15 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto quest’anno e faranno fronte a un’ulteriore domanda del mercato UE per 50 miliardi di metri cubi entro il 2030. Mentre, dalle dichiarazioni, si vuol andare avanti con la transizione ad altre fonti. Vedremo.

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