Kamalanomics vs Trumpnomics: qual è la ricetta vincente per l’economia?
Il momento del voto per le presidenziali USA si avvicina. Quali sono i programmi dei due candidati sul fronte economico?
La corsa alle presidenziali USA sta volgendo al termine, con i due candidati – la democratica Kamala Harris e il repubblicano Donald Trump – che si confrontano in un serratissimo testa a testa. L’esito del voto, in programma per il 5 novembre, sembra infatti più che mai sul fil di lana sia nei sondaggi sia per i bookmaker, con una forte indecisione soprattutto nei cosiddetti Swing States (dove non c’è una preferenza chiara), che sono però determinanti per il risultato.
Uno dei temi osservati più attentamente dagli elettori USA e dagli investitori di tutto il mondo è l’approccio di ciascun candidato all’economia.
I due programmi presentati da Harris e Trump in merito hanno qualche punto di contatto – sono entrambi dispendiosi e improntati al protezionismo nei confronti della Cina, notano per esempio gli esperti della casa di gestione LFDL. Ma evidenziano anche notevoli divergenze. Estremizzando, potremmo dire che la candidata democratica punta a una maggiore sostenibilità per il bilancio nel lungo termine, mentre il candidato repubblicano si concentra più su una crescita nel breve periodo. E se analisti ed economisti apprezzano un approccio di lungo termine, i mercati finanziari ragionano sul “qui e ora”.
Ma vediamo nel dettaglio quali sono le promesse di Trump e quelle di Harris per l’economia.
Harris: classe media, piccole imprese e innovazione
Il programma economico dell’attuale vicepresidente appare decisamente orientato alle famiglie della classe operaia e media, oltre che alle piccole imprese, con un aumento delle deduzioni per le pmi e un incremento del credito d’imposta per i figli a carico, con l’obiettivo di stimolare la crescita economica e sostenere i redditi più bassi. Allo stesso tempo, punta ad aumentare l’imposta sulle società al 28% e a portare l’aliquota sulle plusvalenze al 28% per chi guadagna oltre un milione di dollari.
A livello di settori, Harris punta sull’innovazione: veicoli elettrici, semiconduttori e Intelligenza Artificiale.
Trump punta a dazi più alti e tasse più basse
Il programma economico di Trump punta essenzialmente ad aumentare i dazi sui beni importati negli USA (al 10%), specialmente su quelli provenienti dalla Cina (al 60%), con l’intento di proteggere l’industria americana e ridurre il deficit commerciale. Inoltre, Trump vorrebbe rendere più restrittive le regole sull’immigrazione e abbassare le tasse sulle imprese. Nello specifico, promette di estendere la legge approvata durante il suo primo mandato, che prevedeva una riduzione delle tasse per aziende e individui e che andrà a estinguersi nel 2025, e di abbassare ulteriormente le tasse sulle imprese dal 21 al 15%. In generale, il suo approccio si conferma orientato al protezionismo, alla deglobalizzazione e alla deregolamentazione.
A livello di settori, la sua linea sembra favorire l’industria, i combustibili fossili a basso costo – in linea con il suo mantra “Drill baby drill” – i motori termici e le criptovalute.
Harris vs Trump: cosa ne pensano gli economisti?
Stando a un sondaggio condotto dal Wall Street Journal su 50 economisti, il 68% ritiene che le proposte economiche di Trump avrebbero un effetto inflattivo maggiore rispetto a quelle di Harris. Mentre il debito degli Stati Uniti – già destinato a raggiungere il 99% del PIL quest’anno – pare destinato a crescere con entrambi i leader.
Su questo punto, Bloomberg Economics stima che:
- i tagli fiscali di Trump porterebbero il rapporto debito/PIL al 116% nel 2028;
- con le proposte più conservatrici di Harris, rimarrebbe sulla strada del 109%.
Naturalmente, un conto sono le promesse della campagna elettorale, un altro le cose che effettivamente si vanno poi a realizzare: nel mezzo possono intervenire tutta una serie di variabili, come eventi esterni agli States o un Congresso diviso e dunque potenzialmente ostile. Il Congresso è infatti l’unico a poter ratificare le modifiche legislative, a eccezione delle misure di politica estera, che rimangono di competenza del presidente.
Le presidenziali non influenzano i mercati sul lungo periodo
Per chi investe, al netto delle possibili implicazioni di breve periodo a livello di singoli settori, la strategia migliore potrebbe essere semplicemente quella di ignorare le elezioni. Numerosi studi sulle performance passate hanno infatti dimostrato che la politica non ha un impatto rilevante sui mercati finanziari sul lungo periodo. Meglio allora restare focalizzati sugli obiettivi finanziari di medio e lungo periodo. Con l’aiuto, come sempre, del tuo Financial Coach.