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G7 vs BRICS: verso un nuovo ordine mondiale?

Una delle sfide del G7 di fine giugno è stata coinvolgere l’India e altri aspiranti BRICS per evitare un’eccessiva prossimità a Russia e Cina. Com’è andata?

C’era una volta un bimbo di nome Jim. Un giorno, Jim trovò quattro teneri cuccioli di Puma, Orso, Tigre e Dragone e disse ai suoi genitori: “per favore, portiamoli a casa”. I genitori acconsentirono: chissà quante opportunità e soddisfazioni avrebbero dato loro quei quattro teneri cucciolotti!

I cuccioli crebbero. E, vent’anni dopo, provarono ad aggredire Jim e la sua famiglia. Che fece di tutto per difendersi. Come finisce la favola? Non lo sappiamo: perché, di fatto, la stiamo scrivendo tutti insieme esattamente in questo momento storico. E non ci rimanere male se suona un po’ cupa: tutte le favole hanno un sottofondo di cupezza. Serve a esorcizzare le paure per affrontare le sfide della vita più forti e carichi.

Ma usciamo dal magico mondo fiabesco e chiediamoci: chi è Jim, e chi sono i quattro teneri cucciolotti?

G7 contro BRICS: due visioni a confronto

Jim è un nostro rispettoso omaggio a James “Jim” O’Neill, economista che nel 2001, in Goldman Sachs, coniò la sigla “BRIC” per indicare quattro promettentissime economie emergenti sulle quali sarebbe stato interessante investire: Brasile, Russia, India e Cina. La cosa piacque non soltanto agli investitori, ma anche ai quattro Paesi così etichettati: nel 2009 si tenne il loro primo summit in Russia. L’anno dopo, al club si aggiunse il Sudafrica: ecco quindi che i BRIC divennero BRICS.

Nei vent’anni trascorsi da allora, queste economie emergenti hanno acquisito una maggiore consapevolezza circa il loro grande potenziale. Anche in termini geopolitici. E ora puntano a strappare scettro e corona alla reginetta del ballo: gli Stati Uniti d’America. I quali fanno parte di tutt’altro club: quello del G7.

G7 in Baviera tra crisi energetica e climatica

Il G7 è il gruppo intergovernativo informale che include le sette più importanti economie dei Paesi avanzati: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e, appunto, Stati Uniti. Alle riunioni del gruppo partecipano regolarmente anche i rappresentanti dell’UE.

Ne avrai lette o sentite, di dichiarazioni, in questi giorni: perché c’è stata una serie di incontri importantissimi: per esempio, dal 26 al 28 giugno, nella suggestiva cornice bavarese di Schloss Elmau, in Germania, i leader del G7 si sono riuniti intorno a un tavolo. Tanti i temi al centro della discussione, e tutti estremamente urgenti e pressanti: non solo sicurezza energetica e alimentare, anche e soprattutto in scia alla guerra russa in Ucraina, ma anche cambiamenti climatici. I quali si ripercuotono anche sulla sicurezza energetica e alimentare, visto che, per dirne una, la siccità che sta colpendo l’Italia mette in seria difficoltà tanto la produzione idroelettrica quanto quella agricola.

Alla fine, cos’è venuto fuori dalle Alpi bavaresi? Un rinnovato e – sembra – molto convinto sostegno all’Ucraina, anche in termini di ricostruzione, un set di impegni per indebolire la Russia attraverso l’energia e progetti d’investimento nei Paesi in via di sviluppo per non lasciare troppo spazio alla Cina.

A proposito di energia: si è parlato molto di tetto di prezzo (“price cap”) al gas per tutelare aziende e consumatori europei e abbassare gli introiti russi derivanti dalle esportazioni energetiche. Come? Le modalità sono ancora da mettere a punto nel dettaglio. Quindi, ecco, la contromisura non sarà applicata domani, diciamo. Per quanto riguarda il petrolio, l’intenzione è quella di limitare l’export via mare di greggio russo, “a meno che non venga venduto al di sotto di un certo prezzo definito in consultazione con partner internazionali”. Si prospettano poi forti limitazioni all’acquisto di altre materie prime dalla Russia, fra le quali l’oro.

Quanto funzioneranno le contromisure?

Per alcuni sono armi spuntate, specialmente perché in questi casi il manico l’ha in pugno chi possiede e vende le risorse, non chi le compra. E in ogni caso, l’effetto boomerang è dietro l’angolo: vietando l’acquisto di materie prime dalla Russia, le altre disponibili sul mercato aumentano di prezzo. Per dire: il Brent, che è il petrolio del Mare del Nord, ha chiuso il semestre ben sopra i 110 dollari al barile, dagli 80 di inizio anno.

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Non solo: lo stop più o meno netto degli acquisti occidentali è compensato dallo shopping da parte degli altri Paesi BRICS. India e Cina in primis.

Ma per l’Occidente l’obiettivo è chiaro: ridurre il più possibile i versamenti nelle casse di Mosca, anche tenuto conto del fatto che, con il balzo dei prezzi energetici, in questi mesi sono sensibilmente aumentati.

E intanto i Paesi BRICS che fanno?

Il vertice BRICS si è tenuto di recente sotto la presidenza cinese e si è concluso – com’era prevedibile – con la condanna delle sanzioni occidentali a carico di Mosca e con la conferma dell’amicizia tra i Paesi membri. Un’amicizia, del resto, resa più salda dalla disponibilità di fonti energetiche e dalla necessità di venderle da una parte (Russia) e dalla fame di energia dall’altra (Cina e India).

La sigla potrebbe peraltro estendersi fino a comprendere buona parte del nostro alfabeto. L’Iran, Paese esportatore di greggio oltre che detentore delle seconde riserve di gas al mondo, ha recentemente chiesto di entrare nel club. E sembra che anche l’Argentina voglia far parte del gruppo.

Chi comanda tra i BRICS?

Come sottolinea Reuters, la Cina è di gran lunga la maggiore economia, rappresentando più del 70% del potere economico del gruppo, che in dollari sonanti fa 27,5 trilioni di dollari USA. L’India è a circa il 13%, mentre Russia e Brasile sono all’incirca al 7%, secondo i dati che Reuters cita dal Fondo Monetario Internazionale.

Fatto sta che oggi i BRICS costituiscono oltre il 40% della popolazione mondiale e circa il 26% dell’economia globale. Contrapponendosi con la forza dei loro numeri al cosiddetto “inverno demografico” occidentale, dove il calo delle nascite e il progressivo invecchiamento della popolazione pongono sfide sicuramente molto interessanti da affrontare.

Sarà un mondo bipolare? Difficile a dirsi. E forse a pochi converrebbe davvero. Basti pensare che al vertice bavarese del G7 sono stati invitati anche Argentina, India, Indonesia (che attualmente è alla presidenza del G20), Senegal e Sudafrica. Gli stessi Paesi che sono – o che potrebbero presto essere – dall’“altra parte”.

L’esclusivo “Club del Clima”

Il G7, intanto, ha anche espresso l’intenzione di dar vita a un “Club del Clima” per rafforzare la cooperazione su cambiamenti climatici e decarbonizzazione.

“Il Club del Clima, in quanto forum intergovernativo di grande ambizione, sarà di natura inclusiva e aperto ai Paesi che si impegnano ad attuare pienamente l’Accordo di Parigi e le relative decisioni, in particolare il Patto per il Clima di Glasgow, e ad accelerare la loro azione a tal fine”.

Questo è quanto ha dichiarato il G7 in un comunicato. A conferma del fatto che, sebbene su tanti fronti ci siano al momento spaccature anche molto profonde, una ricomposizione è sempre possibile. E in ogni caso auspicata.

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