Milioni, miliardi, trilioni: che senso hanno?
Probabilmente sono cifre che avrai sentito e letto nelle notizie di finanza: per dare loro un senso e capirne l’impatto bisogna saperle leggere correttamente.
I dibattiti su scala nazionale ed europea, di fondamentale importanza per i tutti i cittadini – come quelli sul Recovery Fund, Il Green New Deal, il finanziamento della ricerca medica e scientifica, i salvataggi di enti pubblici e le attuali proposte per il rilancio dell’economia dopo la crisi coronavirus – comprendono inevitabilmente cifre nell’ordine di milioni, miliardi, trilioni. Ma quanto sono realmente grandi questi numeri? E soprattutto quale è il rapporto tra di loro? Partiamo da una diatriba linguistica.
Esiste effettivamente il trilione in italiano? Sì, esiste. Ma indica un miliardo di miliardi, non mille miliardi come invece, generalmente, in lingua inglese. Quindi: la parola trilion presa da un testo statunitense, in italiano non si traduce trilione (“un miliardo di miliardi”), si traduce “mille miliardi” o “bilione”. Si tratta di un cosiddetto falso amico, aggravato della matematica, che mette in crisi tutti i nostri poveri studi umanistici. Insomma bisogna prima di tutto capire la scala utilizzata dallo scrivente, il contesto, e qual è effettivamente il senso che si vuole trasmettere con la frase.
Se vogliamo trovare qualcuno da incolpare per la confusione sui miliardi, sono i francesi. Nel corso della storia, sono passati da una definizione all’altra, creando scompiglio nei nomi dei numeri. Nel 1480 proposero che un miliardo avesse 12 zeri, che è quello che gli inglesi adottarono. Poi, a metà del XVII secolo, hanno eliminato tre zeri, così un miliardo è diventato un numero con nove zeri. I giovani Stati Uniti hanno ereditato questa nuova definizione. Poi, nel 1948, i francesi sono tornati al vecchio sistema. Non disperarti troppo se non lo sapevi: almeno nell’80% dei documentari e trasmissioni televisive in cui si usano queste parole, la traduzione è errata.
Lo “zero” e la sua storia.
Relativamente nuovo sulla scena matematica, lo zero non è stato riconosciuto come numero a sé stante fino a quando gli indiani non hanno iniziato ad esplorarne le proprietà nel settimo secolo d.C. (sono anche responsabili degli altri nove simboli che usiamo per registrare i numeri, noti come sistema arabo-indù). Lo zero fu introdotto in Europa dal matematico italiano Fibonacci nel XII secolo – e le autorità ne erano talmente sospettose che nel 1299 il governo di Firenze ne vietò l’uso.
Il sistema base 10 che utilizziamo oggi, banalmente, dipende da questione anatomiche: è il risultato diretto del fatto che contiamo sulle nostre 10 dita. Altre culture però non erano così legate ai poteri a 10: gli antichi Babilonesi raccoglievano le cose in potenze di 60 e questo ha determinato, ad esempio, il fatto che ci siano 60 minuti in un’ora e 360 gradi in un cerchio. Per capire l’importanza dello zero, basti pensare ai romani, che hanno dovuto continuare ad aggiungere nuove lettere ogni volta che i loro numeri diventavano più grandi – C per 100, D per 500, M per 1.000 – perché non avevano zeri da aggiungere alla fine.
Capito origini e discusso delle diatribe linguistiche, torniamo a noi e cerchiamo di dare un senso a questi numeri.
Analogie per capire.
Il Recovery Fund ha stanziato per l’Europa 750 miliardi di risorse a fronte di una perdita stimata, a livello globale, di oltre 5 trilioni di dollari per effetto della crisi Coronavirus. L’Italia, dal canto suo, con il decreto “Rilancio” ha stanziato un fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione con una dotazione di 50 milioni di euro. Ma quale è il rapporto esatto tra questi diversi ordini di grandezza?
Se un centesimo rappresentasse un milione, allora mille centesimi, cioè 10 euro, rappresenterebbero un miliardo. Nella stessa scala, un milione di centesimi, cioè 10.000 euro, rappresenterebbero un trilione. Quando si valuta una spesa da un trilione di dollari, discutere di un miliardo è come cavillare per 10 euro su un acquisto da 10.000.
Detto in modo piuttosto banale, un risparmio di 100 milioni di dollari potrebbe sembrare paragonabile a un costo di 10 trilioni di dollari. È ridimensionando che la verità viene a galla: una cosa è un gelato da 3 euro (300 centesimi), un’altra è il prezzo di una casa da 300.000 euro.
E se il tempo fosse denaro?
Immaginate di aver trovato un lavoro che paghi 1 euro al secondo, cioè 3.600 euro l’ora e mettiamo pure (per comodità) che foste pagati in quel modo 24 ore al giorno/sette giorni su sette.
A questo ritmo, ci vorrebbero un milione di secondi per arrivare a 1 milione di euro. A questo punto può esser interessante capire quanto ci impiegheremmo. In numeri reali un milione di secondi sono circa 17.000 minuti, che corrispondono più o meno a 283 ore o (quasi) 12 giorni. Insomma, a 1 euro al secondo c’è la possibilità che possiate andare in pensione alla fine del mese, o anche prima.
Con lo stesso lavoro, ci vogliono 11.600 giorni, o 31,7 anni, per accumulare un miliardo, mentre per arrivare a un trilione di dollari ci vorrebbero 31.700 anni.
Queste analogie ci aiutano a capire le reali dimensioni di miliardi e trilioni e, ad esempio, fanno emergere la totale impossibilità da parte di un lavoratore qualsiasi di guadagnare un miliardo di dollari. Non esiste lavoro che paghi un compenso orario costante di 3.600 i dollari.
Insomma, superata la fobia da matematica e maneggiando nel modo giusto l’aritmetica, diventiamo cittadini migliori, evitando di battibeccare sugli spiccioli quando i problemi sono di dimensioni molto diverse.