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Stati Uniti, sospeso il tetto al debito: e adesso?

Dopo diversi mesi di stallo, l’accordo sul tetto del debito statunitense è stato raggiunto, scongiurando il rischio di default.

Dopo mesi di trattative, l’accordo è stato finalmente raggiunto: il tetto al debito USA è stato sospeso per due anni. Camera e Senato hanno approvato le 99 pagine del Fiscal Responsability Act scongiurando il rischio di un default della prima economia mondiale. La firma del presidente Joe Biden è arrivata a due giorni dalla fatidica scadenza del 5 giugno, indicata dalla segretaria al Tesoro Janet Yellen come limite ultimo prima del materializzarsi di “una catastrofe economica e finanziaria”.

Cos’è e come nasce il tetto al debito?

Il tetto al debito è il limite massimo della quantità di denaro che il governo USA può prendere in prestito per pagare i suoi debiti: quando l’ammontare si avvicina al limite stabilito, il tetto deve essere rivisto al rialzo, il che richiede un confronto – tipicamente molto serrato – tra Democratici e Repubblicani, le due anime delle istituzioni statunitensi.

Fu introdotto per la prima volta nel 1917 allo scopo di gestire al meglio il finanziamento delle spese belliche. Prima di allora il Congresso doveva autorizzare ogni singola emissione di buoni del Tesoro, un processo molto macchinoso che durante la Prima Guerra Mondiale stava dimostrando tutta la sua inadeguatezza.

Il Second Liberty Bond Act evitò al governo di dover passare per il Congresso tutte le volte che aveva bisogno di contrarre un prestito. Per contro, però, i legislatori introdussero un tetto massimo ai prestiti che il governo poteva contrarre e una norma che imponeva l’approvazione di una legge parlamentare per incrementare tale limite.

Da allora il tetto al debito è stato aumentato e sospeso decine di volte, sia dalle amministrazioni Democratiche sia da quelle Repubblicane. Prima dell’ultimo accordo, il tetto era fissato a 31,4 trilioni di dollari USA, pari al 120% del PIL statunitense.

Cosa prevede il nuovo accordo sul debito?

Il tetto, raggiunto già a metà gennaio, viene temporaneamente rimosso: rientrerà in scena nel gennaio del 2025 (dopo le presidenziali del 2024, quindi), non a livelli prefissati ma alla vetta a quel punto raggiunta.

Per superare l’impasse, l’amministrazione USA ha dovuto fare delle concessioni ai Repubblicani guidati nelle trattative dallo speaker della Camera Kevin McCarthy, che chiedevano una riduzione della spesa pubblica.

L’accordo prevede infatti 136 miliardi di dollari di tagli in due anni e suggerisce massimi di spesa non vincolanti che, se rispettati, consentiranno risparmi per mille miliardi tra il 2025 e il 2032.

Sul fronte del budget, sono salvi gli ambiziosi progetti varati dal presidente Biden, a cominciare dalla legge sulla transizione energetica, l’Inflation Reduction Act. In cambio si prescrivono però tagli generalizzati alla spesa pubblica, dai quali sono esclusi solo la difesa, dove gli esborsi salgono a 895 miliardi nel 2025, i servizi ai veterani e i grandi programmi federali “automatici” legati a pensioni e sanità per gli anziani.

Per il resto, la cosiddetta “spesa discrezionale” – ossia la quota del bilancio federale individuata annualmente dal Congresso e che riguarda le voci di spesa non obbligatorie o automatiche (come l’istruzione, la ricerca, l’ambiente e via dicendo) – subirà una limatura.

Braccio di ferro sul debito: i precedenti

Il precedente più famoso è sicuramente quello del 2013, quando l’allora presidente Barack Obama e il Congresso ingaggiarono un lungo braccio di ferro per aumentare il limite all’indebitamento.

Prima di arrivare a un compromesso, gli uffici dell’amministrazione federale furono costretti a chiudere per diversi giorni, dal momento che il governo non poteva far fronte al pagamento di stipendi e servizi. La situazione fu talmente seria da spingere l’agenzia di rating S&P a declassare il debito degli Stati Uniti da AAA ad AA+.

Ma la battaglia tra Democratici e Repubblicani sul tetto al debito è diventata ormai una costante della vita politica statunitense. Negli ultimi anni, a causa della forte polarizzazione dell’elettorato, il livello dello scontro si è acuito, rendendo sempre più difficile il raggiungimento di una soluzione di compromesso.

Cosa dobbiamo aspettarci adesso?

L’approvazione dell’accordo ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai mercati: nessun default è all’orizzonte. Tuttavia, lo stallo sull’innalzamento del tetto al debito che ci siamo appena lasciati alle spalle comporta una serie di implicazioni.

Se da una parte, come sottolinea Kenneth Rogoff, uno dei maggiori economisti statunitensi, l’intesa raggiunta non elimina il problema, dall’altra il Tesoro USA, che ha dato fondo a quasi tutta la sua liquidità negli ultimi mesi, dovrà emettere in breve tempo una grande quantità di titoli.

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