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Finanza di transizione: le opportunità oltre i rischi

Il 2 e il 3 ottobre si è svolto il Forum OCSE sugli investimenti green, che ha fatto il punto sul ruolo e sulla credibilità della finanza di transizione.

Per contenere il riscaldamento globale entro il limite di 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli precedenti la rivoluzione industriale – obiettivo, come sai, individuato nell’ambito dell’Accordo di Parigi del 2015 – bisogna ridurre le emissioni nette di gas serra del 45% entro il 2030 e raggiungere il “net zero”, le zero emissioni nette, entro il 2050. La mobilitazione dei finanziamenti e degli investimenti pubblico-privati a favore delle imprese e dei Paesi in via di sviluppo è un fattore decisivo. Ma tutto questo lo sappiamo già.

Se torniamo sul tema è perché il 2 e il 3 ottobre si è svolta la decima edizione del Forum OCSE sulla finanza e gli investimenti green (GFI), evento annuale di punta del Centro dell'OCSE sulla finanza e sugli investimenti green, appunto.

All’incontro hanno partecipato operatori dei mercati finanziari, responsabili politici (ministeri delle Finanze, dell’Ambiente, dell’Energia e altri), banche centrali e altre autorità di regolamentazione e supervisione finanziaria, banche multilaterali di sviluppo, imprese, società civile, università ed enti filantropici.

A cosa serve il Forum OCSE sulla finanza e gli investimenti green?

Il Forum sulla finanza e gli investimenti green punta a offrire a tutti questi soggetti un’arena di confronto sui progressi finora compiuti e sul da farsi, anche in termini di collaborazione internazionale, per accelerare la transizione della finanza verso gli obiettivi climatici e ambientali e per promuovere investimenti realmente trasformativi nell’economia reale.

La decima edizione del Forum si è concentrata sull’accelerazione dell’azione politica per colmare il divario di credibilità: il titolo, infatti, era “Accelerating policy action to close the credibility gap”.

A proposito di gap di credibilità. Nel corso del Forum si è fatto un diffuso cenno ai rischi che si mettono di traverso in questo percorso non sempre lineare.

  • Uno è il cosiddetto “greenwashing”, la pratica, cioè, del dare una mano di verde a proposte e progetti che verdi non lo sono affatto. Il “lavaggio verde” fa sì che finanziamenti e investimenti continuino a essere allocati presso attività che, a dispetto delle apparenze, sono ancora causa di elevate emissioni e sono dannose per l'ambiente.
  • L’altro rischio è quello del “carbon lock-in”, che si verifica quando aziende e comparti dell’economia ad alta intensità di combustibili fossili ritardano apposta o impediscono la transizione verso alternative a basso contenuto di carbonio.

Ma la transizione è tanto difficile quanto fondamentale. Bisogna dare all’industria manifatturiera gli strumenti e le risorse per trasformarsi in modo credibile, secondo quanto stabilito a Parigi, in linea quindi con gli obiettivi globali delle zero emissioni nette. Il manifatturiero, infatti, rappresenta una delle principali fonti di emissioni totali di anidride carbonica a livello mondiale. Quel che oggi gli serve è uno “chaperon”, un set di finanziamenti e investimenti affinché le industrie ad alta intensità di emissioni abbiano la possibilità di allinearsi con quanto stabilito nel 2015 a Parigi (e confermato poi nelle successive COP, le Conferenze delle Parti per il clima).

A che punto è la finanza di transizione?

La finanza di transizione, oggi, è sfidante e necessaria. Per “finanza di transizione” si intende qualsiasi forma di sostegno finanziario che aiuti le aziende ad alte emissioni di carbonio a iniziare a implementare cambiamenti a lungo termine per diventare più “green”. In tal senso, si pone un po’ a metà strada tra la finanza tradizionale, che non identifica il cambiamento come una sua priorità, e la finanza sostenibile, che predilige quelle aree in cui il “green” è già realtà.

La finanza di transizione affianca le aziende che oggi emettono molto e inquinano altrettanto nel loro cammino verso il “net zero”. Tuttavia, questo mercato è ancora nella sua fase nascente e ha bisogno di rafforzare la sua credibilità, gestendo in modo adeguato i rischi di “greenwashing” e di “carbon lock-in”.

Secondo un recente sondaggio OCSE, sulla finanza di transizione esiste una pluralità di visioni: per alcuni rappresenta un'opportunità di transizione verso le zero emissioni nette, per altri un modo per ridurre l’esposizione al rischio di transizione (rischi politici e legali, rischi tecnologici, rischi di mercato e rischi di reputazione), ma non manca chi ravvisa, appunto, i rischi di “greenwashing”.

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La finanza di transizione per chi investe

Come in tutte le faccende umane, neanche nella finanza è tutto o bianco o nero: non c’è solo l’investimento che non si pone problemi di sostenibilità oppure l’investimento che ne tiene conto e punta all’esclusione dal gregge delle “pecore nere”. C’è appunto anche chi, con un approccio estremamente realistico, dice: anche le “pecore nere” hanno bisogno di attingere al mercato emettendo azioni e obbligazioni e prendendo prestiti, altrimenti come possono finanziarie la loro transizione verso la sostenibilità e un manto più candido?

Ma, come detto, se la finanza sostenibile può talvolta essere un campo minato, la transition finance lo è ancora di più, perché c’è chi vuole cambiare e chi finge solamente. Investire attraverso un fondo consente di avvalersi della selezione operata dagli esperti. Per individuare, tra le tante, la soluzione più in linea con il tuo profilo, con le tue convinzioni e con i suoi obiettivi e bisogni, però, è meglio se ti fai affiancare da un consulente finanziario senza improvvisare.

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